DISTURBI
ALIMENTARI: BULIMIA NERVOSA
MARIA S.: UNA FAME
INESTINGUIBILE
Maria
inizia la terapia con me all'età di 24
anni. E' lei stessa a telefonarmi ed
appare da subito determinata e motivata.
Mi racconta di "convivere" con i suoi
sintomi (si vieta il cibo ed al tempo
stesso ne ingurgita enormi quantità
tutti i giorni, per poi liberarsene
vomitando) da ben quattro anni. Si sente
in colpa e depressa, si chiude in casa
sempre pià spesso, sta perdendo le
amicizie ed in genere le possibili
esperienze proprie della sua età come
studiare o avere un ragazzo. E' iniziato
tutto dopo la maturità scientifica con
il rifiuto del cibo(esordio anoressico)
e poi, curata farmacologicamente e con
alimentazione forzata, all'anoressia si
aggiunge la bulimia nervosa.
Maria è una bella ragazza che io ascolto
parlare con piacere, talvolta appare
incerta, talvolta decisissima. La
relazione terapeutica è uno spazio in
cui può lasciare affiorare emozioni che
la spaventano e sperimentare nuove
risorse. Rifiuta sia il lettino che la
presenza eventuale dei genitori.
Riconosco il suo diritto di scegliere
quale terapia sia meglio per lei ed
iniziamo i nostri colloqui vis a vis e
senza mai incontrare la famiglia.
Propongo a Maria di vederci una volta
alla settimana per un percorso che penso
sarà lungo ma che non so precisare
quanto durerà.
Nel corso del primo anno si consolida
l'alleanza terapeutica attraverso
l'accettazione dei bisogni e la
connotazione positiva delle risorse.
Maria esprime un forte bisogno di
controllo, opposizione, bisogno di
distinguere il "me" dal "te" per poter
sviluppare i propri progetti.
Maria infatti mi dice: "Non ci capisco
più niente. Non so cosa voglio davvero.
Mia madre dice che inizio tutto e non
finisco mai niente".
Nel corso del secondo anno di terapia,
inizio ad utilizzare un approccio più
attivo, mi sposto cioè gradualmente
verso la pratica sistemica.
Emerge un distacco/divario tra Maria ed
i suoi progetti di normalizzazione. Mi
dice "vorrei provare a mangiare almeno a
pranzo o a cena ma so che non lo farò".
Lei, dichiaratasi costantemente
incostante, si stupisce della costanza e
cocciutaggine applicate al "SUO" vero
progetto. Che cosa vuole realmente Maria
per se stessa"
Ride vergognandosi, esita e poi risponde
seria: "la glorificazione".
Ne interpreto il significato in un caldo
bisogno di riconoscimento.
L'ambivalenza degli affetti
genitoriali le impedisce di
esprimere la propria identità e la
rabbia divorante che ne consegue affiora
in frasi del tipo "mi spezzo ma non mi
piego" o meglio in un attacco
consapevole e verbalizzato ai genitori,
che riesce ad esprimere quando le
racconto metaforicamente la fiaba della
"principessa Eleonora che vuole la
luna".
A tale attacco segue un lungo lavoro di
ricostruzione degli affetti primari
(terzo e quarto anno di terapia) la cui
elaborazione avvicina Maria ad una
progressiva consapevolezza ed
accettazione dei propri affetti che
portano ad un allentamento della rabbia
e del senso di colpa, e ad una migliore
competenza relazionale sia in famiglia
che fuori.
Tali esiti le consentono di uscire dalla
morsa coercitiva del "devi dimostrare"
per poter iniziare semplicemente ad
"essere".
Acquista fiducia nelle proprie
potenzialità. Conclude gli studi fino
alla laurea in architettura, sviluppa
nuove amicizie, si innamora e porta
avanti una storia significativa con un
ragazzo che, a terapia ormai ultimata,
mi farà sapere, diventerà suo marito.
Nell'ultima seduta Maria mi dice,
commossa, che adesso pensa di volere più
bene a sua mamma nel senso di accettarla
così come è. Dice anche che i genitori
non dovrebbero fare progetti sui figli
ma avere in mente se stessi come coppia.
Questa terapia, centrata su un approccio
psicoanalitico e sistemico individuale,
è durata cinque anni con una frequenza
di una seduta settimanale.
Disturbi alimentari
Bulimia, anoressia
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